Il 14 dicembre 2015, a Ciampino, andava in scena l’arresto di uno dei cento latitanti più pericolosi dell’Albania secondo la lista stilata dall’Interpol: il cittadino albanese Pjetri Genc, di trentadue anni, sul quale pendeva una condanna a venticinque anni di reclusione per omicidio premeditato e possesso illegale di armi da fuoco.
L’operazione veniva condotta dalla Squadra mobile di Roma, all’esito di lunghe indagini svolte dalla Seconda Sezione della Squadra Mobile stessa, specializzata in criminalità straniera, grazie anche alle informazioni, seppur scarse, fornite dall’Interpol.
Albanese arrestato a Ciampino
La latitanza del trentaduenne albanese iniziava nel 2003, dopo che egli si rendeva responsabile dell’omicidio di Coli Hil, suo connazionale, ucciso mediante l’esplosione di numerosi colpi d’arma da fuoco, nell’ambito di una vendetta maturata in un contesto familiare giunta al culmine proprio in quei giorni del 2003, quando l’autore del delitto, in preda all’ira, agiva quale spietato killer e si liberava del rivale assassinandolo spietatamente.
Nonostante la gravità del delitto e le immediate investigazioni dell’Autorità, il Genc riusciva a darsi alla fuga e a divenire per i successivi dodici anni un vero e proprio fantasma agli occhi delle forze dell’ordine dei diversi Stati europei.
Tale latitanza veniva senz’altro agevolata dalle scarse indagini delle Autorità albanesi, le quali addirittura, pur essendo l’uomo un pregiudicato, non erano in possesso delle sue impronte dattiloscopiche; in questo modo era assicurato all’assassino un lungo periodo di anonimato. Tanto che in questi dodici anni egli si muoveva liberamente tra l’Albania e l’Italia, pur in presenza di un mandato di cattura internazionale emesso dall’Albania.
Collaborazione delle Forze di Polizia
Per la cattura dell’uomo si rendeva necessaria una stretta collaborazione tra le forze di Polizia.
Una volta ricevute le informazioni su una sua possibile presenza in Italia, la Sezione della Squadra Mobile specializzata in criminalità straniera, incardinava una complessa indagine; non prima di aver costituito un gruppo di lavoro già sperimentato in altri episodi passati, allorquando, come in questo caso, era stato necessario procedere all’individuazione e alla localizzazione di latitanti internazionali.
Le operazioni si svolgevano con il costante coordinamento della Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Roma, con il supporto del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia, grazie alla quale era possibile effettuare una massiccia raccolta di dati e di informazioni, anche relativamente all’intera comunità albanese presente a Roma e nei paesi limitrofi, così da capire dove l’uomo avrebbe potuto trovare appoggio per essere coperto e proseguire nel suo stato di latitanza.
Per poter comprendere quali fossero le difficoltà delle forze dell’ordine italiane nelle investigazioni, basti pensare che l’unico elemento messo a disposizione dalla banca dati dell’Interpol, ossia l’organizzazione internazionale per la cooperazione di polizia e la lotta alla criminalità internazionale, era rappresentato da una semplice fotografia risalente all’epoca dell’omicidio.
Non vi era neppure una proiezione aggiornata di quella che sarebbe potuta essere l’immagine dell’uomo al momento delle ricerche.
Nonostante questo, tuttavia, grazie anche al supporto di attività tecniche e servizi sul territorio, le forze dell’ordine riuscivano a rintracciare in un primo momento quella che era stata la compagna del ricercato, nonché il figlio a cui era particolarmente legato e, successivamente, scoprivano che egli si trovava nascosto presso un appartamento di Ciampino, in cui riusciva a vedere regolarmente il proprio bambino.
Appostamento e pedinamento fuori casa del Latitante
Dopo un lungo appostamento all’esterno dell’abitazione, la sera del 14 dicembre 2015, dopo dodici anni, l’uomo veniva arrestato.
Le forze di polizia avevano atteso che rientrasse in casa, e dopo aver verificato che egli si trovava su una vettura con altre due persone appena entrata nello stabile, effettuavano un blitz che gli consentiva di fermare il Genc e di portarlo in manette in questura, dove ammetteva di essere stato a Ciampino per più di dieci anni durante il periodo della sua latitanza.
Estradizione del Cittadino Albanese - Avvocato Penalista
Dopo la cattura Pjetri Genc veniva immediatamente tradotto presso la casa circondariale di Regina Coeli e messo a disposizione della Corte d’appello di Roma affinchè venissero avviate le procedure per l’estradizione, dovendo egli scontare una condanna pronunciata dall’Autorità Giurisdizionale albanese.
L’istituto dell’estradizione si concreta in generale nella consegna di un cittadino all’autorità giudiziaria di un altro paese, al fine di essere sottoposto ad un procedimento penale pendente nello Stato che ne richiede la consegna o per scontare una pena statuita in una pronuncia di condanna già passata in giudicato.
A poter essere sottoposti ad estradizione sono quindi cittadini imputati o condannati che debbano sottostare ad una misura restrittiva della libertà personale, con la conseguenza che il procedimento dell'estradizione richiede l'assistenza di un avvocato penalista.
Nel nostro ordinamento tale istituto trova disciplina negli articoli 696 e ss. del codice di procedura penale, che in primis prevedono un rimando alla normativa europea.
Grazie all'Avvocato Penalista Alessandro Buccilli con Studio in Ariccia e a Roma per i chiarimenti sul processo penale, l'arresto e l'estradizione.
Normativa dell'estradizione
L’art. 696 c.p.p. stabilisce infatti che le estradizioni, le rogatorie internazionali, gli effetti delle sentenze penali straniere, l’esecuzione all’estero delle sentenze penali italiane e gli altri rapporti con le autorità straniere, relativi all’amministrazione della giustizia in materia penale, sono disciplinati dalla Convenzione Europea di assistenza giudiziaria in materia firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959 e dalle altre norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e dalla norme di diritto internazionale in generale.
Soltanto nel caso in cui nella normativa internazionale sopraindicata manchino delle disposizioni, allora si applicheranno le norme del codice di procedura penale.
Esistono due diverse tipologie di estradizione: quella attiva e quella passiva, a seconda che il soggetto debba essere consegnato ad un paese estero, nel caso di quella passiva, o viceversa debba rientrare in Italia, nell’ipotesi di estradizione attiva.
Relativamente all’estradizione passiva, da eseguirsi nel caso del cittadino albanese Pjetri Genc, l’art. 700 c.p.p. prevede che l’estradizione è consentita soltanto sulla base di una domanda alla quale sia allegata copia del provvedimento restrittivo della libertà personale o della sentenza di condanna a pena detentiva che ha dato luogo alla domanda stessa.
Quest’ultima dovrà poi essere corredata da una relazione sui fatti addebitati alla persona della quale è domandata l'estradizione, con l'indicazione del tempo e del luogo di commissione dei fatti stessi e della loro qualificazione giuridica; del testo delle disposizioni di legge applicabili, con l'indicazione se per il fatto per cui è domandata l'estradizione è prevista dalla legge dello stato estero la pena di morte e, in tal caso, quali assicurazioni lo stato richiedente fornisce che tale pena non sarà inflitta o, se già inflitta, che non sarà eseguita; infine dai dati segnaletici e ogni altra possibile informazione atta a determinare l'identità e la nazionalità della persona della quale è domandata l'estradizione.
La decisione spetta poi alla Corte d’appello nel cui distretto il soggetto ha la residenza, la dimora o il domicilio al momento in cui la domanda di estradizione viene fatta, ma, laddove non si riesca comunque ad individuare la competenza, la decisione spetterà sempre alla Corte d’appello di Roma, così come è avvenuto nel caso di specie.
Gruppi di Lavoro internazionali
Le lunghe latitanze non sono una novità, specie nel nostro paese, in cui siamo abituati a sentire notizie relative a catture di latitanti che per decenni si nascondevano tranquillamente nel giardino di casa o quasi, con mogli e figli premurosi che tre volte al giorno provvedevano a portare i pasti in questi fantomatici nascondigli.
Questa volta però probabilmente non è il caso di assumerci tutte le responsabilità. Le forze dell’ordine italiane non sono certo state aiutate da una cooperazione internazionale che in siffatte ipotesi diventa imprescindibile, anzi, semmai tutto il lavoro è stato fatto proprio in Italia, non potendosi neppure adagiare sulle quasi assenti informazioni provenienti dall’Albania.
Ciò che è certo è che ad oggi, vista il carattere internazionale delle nuove associazioni criminali e la libertà di movimento che il Trattato di Shengen assicura, non si può prescindere dalla creazioni di validi gruppi di lavoro che cooperino con i colleghi stranieri.
Tags: Ciampino, Diritto Penale