Lesioni o Suicidio tra i Giovani: quando è reato
Una moda discussa sorta in rete negli ultimi anni è stata oggetto di numerosi casi di cronaca nera nel biennio 2016 /2017.
Attraverso 50 step (tra i quali, a titolo di esempio: 1) incidetevi sulla mano con il rasoio "f57" e inviate una foto al curatore, 14) Tagliatevi il labbro, 26) Il curatore vi dirà la data della vostra morte e voi dovrete accettarla), adolescenti e giovani in genere vengono spinti da una figura dominante, il cd. curatore, a compiere un ultimo tragico atto finale, il n. 50: il suicidio.
Il gioco (se così è possibile definirlo) del Blue Whale ha mietuto numerose vittime, specialmente in Russia, luogo di nascita del fenomeno, ma anche in Pakistan, India, ecc., giungendo sino in Italia.
Siracusa, Bari, Latina, Ravenna, le caratteristiche sempre le medesime: ferite tramite delle piccole lame sul corpo (cd. cutting), comportamenti assenti e di distacco, messaggi sospetti, tentativo di allontanarsi ed estraniarsi dagli affetti.
Ed ecco che scatta la psicosi, la paura di ciascun genitore che il cambiamento delle abitudini del figlio sia legato a questa nuova moda social.
Da qui, quasi naturalmente, ogni atteggiamento dubbio viene necessariamente collegato ad una comune matrice, il macabro gioco online.
Questo panico dilagante a propria volta ha creato un flusso di segnalazioni alle Autorità, a volte fuorvianti, sia da parte dei famigliari che di insegnanti, amici o semplici curiosi.
Emblematico è il caso della città di Milano. A seguito di servizi televisivi, articoli di giornale e messaggi di allerta sui social, la Procura ha ricevuto centinaia di segnalazioni di sospetti casi di “Blue Whale”, accertandone successivamente uno solo.
Articolo 580 codice penale Istigazione o aiuto al suicidio
All’interno dell’ordinamento italiano, il fenomeno del Blue Whale è facilmente ascrivibile sotto la condotta penalmente rilevante di cui all’art. 580 c.p., rubricato istigazione o aiuto al suicidio.
La norma penale punisce chiunque che con qualsivoglia comportamento, determini o rafforzi l’intento a suicidarsi del soggetto passivo.
Nel caso in cui l’azione si concretizzi, la pena irrogabile è la reclusione da un minimo di 5 ad un massimo di 12 anni.
In caso contrario, ove la morte della vittima non segua l’istigazione, il soggetto attivo sarà comunque punito con la reclusione, ma da 1 a 5 anni. Tale ipotesi, però, è configurabile solo se dal tentato suicidio derivino delle lesioni gravi o gravissime. Di conseguenza, nell’ipotesi in cui il suicida sopravviva o riporti delle semplici lesioni lievi o lievissime, non solo l’agente non può in alcun modo essere perseguito penalmente, ma nemmeno essere sottoposto ex art. 49 c.p. ad alcuna misura di sicurezza.
Il suicidio nell’ordinamento giuridico
In tal sede è necessario rammentare che il suicidio di per sé non è punito dall’ordinamento interno, così come non è punito il tentativo dello stesso.
Ciò in quanto, seppur riconoscendo il disvalore sociale o morale del gesto, nessun sistema può imporre la vita ai singoli.
Ne consegue che non è punibile chi decide di porre fine alla propria vita, bensì è punibile che ingenera in terzi psicologicamente l’intenzione o ne facilita fisicamente la realizzazione, poiché in ogni caso la vita umana altrui è un diritto indisponibile secondo l’interesse pubblico.
Pertanto, secondo dottrina e giurisprudenza, il reato di cui all’art. 580 c.p. non è una fattispecie a concorso necessario con soggetto non punibile, bensì una fattispecie monosoggettiva.
Andando a punire le condotte dell’agente, non in quanto in rapporto di accessorietà rispetto all’azione suicidaria, ma in quanto oggettivamente idonee a ledere il bene tutelato.
Nel dettaglio, la fattispecie prevede altresì l’applicabilità delle disposizioni relative all’omicidio ove l’età del soggetto passivo sia inferiore agli anni quattordici ovvero se lo stesso sia comunque privo della capacità di intendere o di volere.
L’elemento soggettivo del reato è il dolo generico, giacché dalla norma non è possibile evincere alcuna finalità ulteriore rispetto alla realizzazione dell’evento medesimo.
Al contempo, però, è comunque richiesto in capo al soggetto agente la consapevolezza della serietà del proposito suicidario.
Ciò in quanto, sarebbe impensabile attribuire un reato ad un soggetto totalmente ignaro o non pienamente cosciente delle dinamiche che si potevano scatenare a seguito del proprio comportamento. Si pensi, ad esempio, al caso della classica lite in famiglia dai toni accesi, nel quale uno dei due coniugi è solito minacciare l’altro di“farla finita per sempre”, senza mai realizzarlo.
Difatti non si potrebbe accusare l’altro coniuge ai sensi dell’art. 580 c.p. per aver semplicemente e con leggerezza risposto “Va bene! dai cosa aspetti”, ignaro che proprio quella volta la minaccia si sarebbe trasformata in un tragico episodio di cronaca.
Un sms non basta per l’istigazione al suicidio
Caso emblematico di questa sottile differenza è l’episodio di un giovane che si è visto confermare un decreto di sequestro probatorio relativo al proprio cellulare e ad una parte di materiale informatico, in quanto indagato di istigazione al suicidio e adescamento di minori.
La vicenda, nello specifico, concerne appunto i rapporti fra l’indagato e una minore nell’ambito del citato gioco“Blue whale challenge.
Difatti, risulterebbe che l’indagato abbia inviato tramite il proprio dispositivo telefonico alcuni messaggi, tra cui uno che si riporta integralmente: “manda audio in cui dici ke sei mia schiava e della vita non ti importa niente e me la consegni”.
L’Avvocato Penalista dell’indagato, fra le varie motivazioni del ricorso, ha sottolineato l’insussistenza del fumus del reato di cui all’art. 580 c.p., anche in ragione del fatto che la minore, a seguito dello scambio di messaggi, non aveva tentato il suidicio nè tantomeno posto in essere su sè stessa atti lesivi di alcun genere.
La Corte di Cassazione (Cass. Penale, sent. n. 57503 del dicembre 2017 ) ha riconosciuto l’inconfigurabilità del reato di istigazione al suicidio, sulla base dei fatti come descritti nell’ordinanza.
Rammentando, infatti, che l’art. 580 c.p. punisce l’istigazione al suicidio, non in quanto tale e fine a sè stessa, ma solo nell’eventualità in cui la vittima accolga la provocazione togliendosi la vita o, quantomeno, riportando sul proprio corpo delle lesioni che rientrino nell’ambito di quelle gravi o gravissime.
Analizzando la norma, il legislatore non ha offerto in tal senso numerosi spazi agli interpreti del diritto, togliendo rilevanza penale alla mera istigazione, sicuramente se non accolta, ma anche dell’istigazione accolta che comunque non ha condotto ad alcuna azione di suicidio, ovvero lesiva.
La Suprema Corte ha, quindi, riconosciuto l’erronea valutazione sulla sussistenza del fumus del delitto di cui all’art. 580 c.p., posto che il fatto come descritto non integrava in alcun modo il reato di istigazione.
Un Bravo Avvocato Penalista può cambiare il risultato del Processo
Attualmente, seppur non più al centro delle cronache quotidiane, il fenomeno del Blue Whale non è scomparso ed è corretto che nessun genitore o tutore abbassi la guardia, sminuendo il problema.
Al contempo, però, occorre eseguire una corretta valutazione del colpevole così come della vittima.
Non ogni atteggiamento può essere ricondotto al reato di istigazione, non ogni messaggio sospetto o cambio di abitudini è connesso al fenomeno della Balena Blu.
Ma questo aspetto deve essere sapientemente fatto valutare al Tribunale Penale da parte di bravi Avvocati Penalisti. Altrimenti si rischia che il processo si metta male, e si arrive ad una condanna.
Per aversi istigazione al suicidio la condotta, fisica o psicologica, deve portare alla effettiva realizzazione dell’evento morte della vittima o la stessa deve assumere delle condotte lesive, riportando dei danni gravi o gravissimi.
Moralmente è riprovevole il comportamento di chi cerca di soggiogare gli altri al fine di condurli a gesti autolesionistici, fino alla morte. Però, ove non accolta, la provocazione resta tale e nessun delitto è compiuto.