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Stupro in Caserma al Quadraro: quando il licenziamento diventa un miraggio

Quadraro stupro in casermaNel settembre 2012 il Tar del Veneto reintegrava nel proprio posto di lavoro uno dei Carabinieri accusati di aver partecipato allo stupro consumatosi nella caserma del Quadraro nel 2011.

Dopo l’accaduto e le conseguenti accuse elevate nei confronti dei Carabinieri presenti quella notte e colpevoli, secondo la donna, di una vera e propria violenza di gruppo, l’Arma aveva iniziato una procedura disciplinare che aveva portato al congedo, tra gli altri, di Cosimo Stano. Tuttavia, il Tar del Veneto consentiva allo stesso di essere reintegrato in servizio.

Fatti che minano la fiducia del cittadino: se le istituzioni infrangono le leggi

La nostra società civile è strutturata in modo tale da prevedere delle persone che, per l’incarico che svolgono, devono avere la fiducia del cittadino. Quest’ultimo deve infatti sentirsi protetto e tutelato ogniqualvolta ha a che fare con coloro che sono preposti alla protezione dei diritti e delle garanzie che la legge attribuisce e riconosce, come ad esempio le forze dell’ordine.

Ecco perché quando sono tali persone a infrangere quelle regole che per prime dovrebbero rispettare, rendendosi responsabili di violazioni di legge e di abusi di autorità, la notizia è ancor più sconfortante per la collettività, che finirà con il credere sempre meno nelle istituzioni.

Uno spiacevole episodio, per non dire un abominevole episodio, si verificava nel 2011 nella caserma dei Carabinieri sita nel quartiere Quadraro di Roma.

I fatti della Caserma del Quadraro

Era il 23 febbraio quando una ragazza di trent’anni veniva arrestata dalle forze dell’ordine con l’accusa di furto. Subito veniva condotta dai Carabinieri in caserma, dovendo trascorrere le ore necessarie per la chiamata del pubblico ministero e la successiva celebrazione del giudizio direttissimo all’interno delle celle posizionate nella caserma proprio per i soggetti sottoposti a fermo o arrestati in flagranza di reato.

Se non che durante la notte ella veniva fatta uscire dalla cella di sicurezza e accompagnata alla sala mensa, dove successivamente veniva fatta accomodare su delle panche e i Carabinieri le offrivano un panino. Erano presenti Alessio Lobartolo, Leonardo Pizzarelli e Vincenzo Cosimo Stano, nonché il vigile urbano Francesco Carrara, amico di uno dei membri dell’Arma.

Dalle accuse della donna si ipotizza una violenza di gruppo

Secondo il racconto fatto in un secondo momento dalla ragazza, i Carabinieri l’avevano a quel punto invitata a bere dei bicchieri di vino, con lo scopo di farla ubriacare e renderla maggiormente disponibile e inconsapevole di quelle che erano le loro intenzioni e, successivamente, avrebbero abusato di lei.

Si ipotizzava quindi una violenza di gruppo perpetrata da tutti i presenti ai danni della povera arrestata ma, all’esito degli esami del Dna recuperato dalle tracce biologiche prelevate dal corpo della ragazza, emergeva che il rapporto sessuale era stato consumato soltanto da uno, anche se, ad avviso della Procura, vi era stato comunque l’abuso di autorità nei confronti di una persona in quel momento soggetta a limitazione della libertà personale perpetrato dai presenti, all’unanimità.

I militari si difendono: la donna era consenziente

Tutti si erano difesi in giudizio sostenendo che in realtà la donna si era dimostrata consenziente in tutto ciò che si era verificato, senza che alcuno degli imputati avesse avuto necessità di effettuare delle pressioni sfruttando la propria posizione di forza derivante dall’esercizio dei poteri connessi alla pubblica funzione.

L’Arma decideva di adottare per i membri coinvolti in tale vicenda la misura della sospensione dal servizio e, per ciò che riguardava Cosimo Stano, si disponeva anche il suo trasferimento in Veneto, con rimozione dall’incarico.

L’Arma avvia una procedura disciplinare ma il Tar la blocca

Nonostante l’Arma dei Carabinieri avesse deciso di avviare una procedura disciplinare nei confronti dello Stano, che avrebbe condotto al suo congedo, la giustizia amministrativa bloccava ogni cosa. Gli avvocati difensori, Maria Cristina Manni e Francesco Scacchi, subito proponevano ricorso al Tar del Veneto contro la rimozione del militare.

Secondo la tesi difensiva, il Ministero, nel procedere alla rimozione a seguito di procedimento disciplinare, avrebbe commesso un abuso e segnatamente avrebbe agìto con eccesso di potere.

Contestata al Carabiniere una colpa ma sospeso per un’altra

E infatti il 29 aprile 2011 la disciplinare aveva contestato allo Stano di aver abusato dei suoi poteri e doveri, al fine di compiere atti sessuali su una donna unitamente ad altre persone; questa la contestazione su cui il carabiniere veniva chiamato a difendersi in sede disciplinare.

Tuttavia, successivamente il militare veniva sospeso dal servizio con comunicazione che faceva riferimento a fatti diversi, in quanto si richiamava il non aver impedito che una donna venisse fatta uscire dalla cella di sicurezza, tollerando che un suo collega compiesse atti sessuali con la stessa, senza intervenire.

Ebbene, come prontamente sollevato dai difensori, si trattava di due contestazioni ben diverse e con riferimento alla seconda contestazione non era stata data la possibilità all’accusato di difendersi dal nuovo e diverso addebito.

Il Tar ricorre alle norme dell’Ordinamento Militare

Il Tribunale amministrativo Regionale del Veneto, per potersi pronunciare sulla questione in oggetto, richiamava la normativa in questione.

Ve infatti ricordato che in tema di procedimento disciplinare a carico di un Carabiniere, o comunque di un appartenete alle forze armate, è necessario riferirsi agli articoli 1346 e ss del D. Lgs 66/2010, ossia il Codice dell’Ordinamento Militare.

Le sanzioni disciplinari a militari: modi e tipi

In particolare, l’art. 1370 dispone che nessuna sanzione disciplinare possa essere inflitta senza prima contestazione degli addebiti e senza che siano state acquisite e vagliate le giustificazioni addotte dal militare interessato. Egli è assistito da un difensore da lui scelto fra i militari in servizio, anche non appartenenti al medesimo Ente o Forza armata nella quale presta servizio o, in mancanza designato d’ufficio.

Al contempo, l’art. 1357 individua le varie sanzioni disciplinari applicabili, ossia: 1) la sospensione disciplinare dall’impiego per un periodo da uno a dodici mesi; 2) la sospensione disciplinare dalle funzioni del grado per un periodo da uno a dodici mesi; 3) la cessazione dalla ferma o dalla rafferma per grave mancanza disciplinare o grave inadempienza ai doveri del militare; 4) la perdita del grado per rimozione.       

Preso atto di ciò, i giudici amministrativi convenivano con i difensori circa la mancata possibilità di difesa da parte del militare nel caso di specie.

Un errore amministrativo o qualcosa di più?

È evidente che l’intero percorso del procedimento disciplinare debba concernere sempre la medesima contestazione, non potendo certo vedersi addebitato un fatto e poi vedersi applicata una sanzione, peraltro grave come quella della rimozione, per un fatto diverso da quello su cui si era stati chiamati a difendersi.

Un pastrocchio fatto dall’amministrazione che in questo modo aveva dato, forse neanche tanto a caso, all’accusato la possibilità di evitare l’applicazione della sanzione.

E il Tar non può che annullare il provvedimento

Alla luce di ciò, il Tar del Veneto annullava il provvedimento con cui era stata disposta la rimozione per motivi disciplinari e reintegrava il Carabiniere nel suo posto di lavoro. Qualora il Ministero volesse, potrebbe comunque ripetere il procedimento disciplinare, questa volta in maniera corretta.

Gli intoccabili di Stato

Anche quando si sbaglia in maniera palese, pare proprio che in Italia sia particolarmente difficile essere puniti, specie se si è dipendenti dell’amministrazione pubblica che, come si sa, fatica sempre di più là dove il privato impiegherebbe due secondi.

Il caso di cui sopra ne è un esempio evidente. Cosa si deve fare di più per essere rimossi dall’incarico?

Sbagliare non può significare perdere i propri diritti

Giova ricordare, se qualcuno l’avesse mai potuto dimenticare, che una persona arrestata, anche eventualmente in flagranza di reato, non perde affatto i propri diritti e le garanzie fondamentali che la Costituzione garantisce; non diventa carne da macello per i divertimenti di coloro che per un attimo, per il solo fatto di avere un minimo di autorità, si credono dei santi scesi in terra.

Anche coloro che stanno scontando una pena all’ergastolo, compatibilmente con la propria posizione di condannati, hanno diritto a che non si mercifichi il loro corpo e non si comprimano altre libertà fondamentali oltre a quella di movimento, che è già stata sacrificata in virtù dell’inflizione di una pena.

È questo ciò che rende un paese civile. 

Tags: Diritto Penale, Diritto del Lavoro, Sentenze, Quadraro

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