Tentato furto a Termini: una condanna esemplare o ingiusta?

Termini tentato furto di cellulareCon sentenza del luglio 2014, il Tribunale di Roma condannava un quarantenne di origini algerine alla pena della reclusione per anni 3 e mesi due.

L’accusa contestata era quella di aver tentato di sottrarre un cellulare al legittimo proprietario, estraendolo dalla sua tasca mentre il soggetto si trovava su un mezzo pubblico, ossia sul treno della metropolitana.

Furti, borseggi, taccheggi sui mezzi pubblici: una vera piaga a Roma

In ogni stazione abbondano i furti, anzi più precisamente abbondano i furti con destrezza, nonché i borseggi.

Ad almeno una persona su tre è capitato di essersi visto scippare il portafogli su un mezzo pubblico o in un luogo affollato, senza neppure rendersene conto; accorgendosi di tutto quando ormai era troppo tardi, una volta tornati a casa. In questi casi si corre subito a fare la denuncia alle forze dell’ordine, ma, il più delle volte, essa sarà contro ignoti e si rivelerà vana, viste le difficoltà di rintracciare chi ha sottratto un oggetto piccolissimo che, una volta preso il denaro ivi posizionato, usualmente viene preso e buttato nell’immondizia.

Danni non solo economici se spariscono anche i documenti

I problemi restano soltanto in capo alla vittima, che, oltre ad aver perso il denaro (problema che di solito è l’ultimo che preoccupa), avrà l’onere di provvedere al rinnovo di tutti i documenti, dalla patente di guida alla carta d’identità, dalla tessera sanitaria alle tessere della palestra o di associazioni a cui si è iscritti; documenti che di solito molti di noi custodiscono proprio nel portafogli.

Altre volte l’oggetto preferito in questo tipo di furti è costituito dal cellulare, oggetto sempre più costoso di cui l’appropriazione può diventare un vero e proprio affare. Anche se, in questo caso, è necessario essere un po’ più bravi e mostrare un’attitudine criminale maggiore, in quanto si dovrà fare in modo che il telefono cellulare non risulti rintracciabile dopo il furto.

E’ necessaria fermezza e una costante vigilanza per contrastare il fenomeno

Evitare che tutto ciò avvenga, o comunque fare in modo che possano essere catturati i colpevoli di tali reati, è l’attività che impegna quotidianamente coloro che svolgono servizio d’ordine presso le stazioni e sui mezzi pubblici, luoghi che per loro natura si prestano al compimento, al tentativo di compiere i predetti reati.

Tuttavia, quando episodi di siffatta natura si verificano, è necessario che la giustizia si faccia trovare pronta, ferma e decisa, ma giusta.

Una giustizia che in questi casi coglie la palla al balzo per infliggere una condanna esemplare non può definirsi tale.

Così come avvenuto nella storia di un cittadino algerino di quarant’anni, divenuto vittima del sistema pur essendo comunque colpevole di un reato, per aver tentato di sottrarre il cellulare dalla tasca di un passeggero, su un treno della linea metropolitana.

Il ladro bloccato dalla vittima con l’aiuto di due allieve carabiniere

L’aspirante ladro di cellulare non doveva però essere particolarmente robusto, tant’è che la vittima, un italiano in vacanza a Roma, resasi conto di quello che stava accadendo, non faceva fatica a reagire immobilizzando l’uomo algerino, grazie anche all’aiuto di due allieve carabiniere che erano presenti nello stesso vagone.

Il ladro, pertanto, non appena il treno della linea metropolitana effettuava la fermata presso la Stazione Termini, finiva in manette.

L’arresto  a Stazione Termini e il giudizio per direttissima

Le forze di polizia lo trattenevano in stato di arresto e provvedevano poi alla consegna all’Autorità Giudiziaria per la convalida e per la celebrazione del giudizio direttissimo, previsto ogniqualvolta si procede all’arresto in flagranza di reato, così come stabilito dall’art. 449 c.p.p.

L’uomo, veniva accusato di tentato furto aggravato dal fatto di essere stato commesso con destrezza e su un mezzo pubblico.

Il furto previsto all'Art. 624 del codice penale

Il delitto di furto è di per sé previsto nella sua fattispecie base dall’art. 624 c.p., che stabilisce che chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 154 a 516 euro. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o più delle circostanze di cui agli articoli 61 n. 7 e 625 c.p.

Le molteplici aggravanti

Quest’ultima norma a sua volta, nel contemplare le aggravanti del furto, prevede che la pena per il fatto previsto dall’art. 624 c.p. è della reclusione da uno a sei anni e della multa da 103 a 1032 euro: 1) se il colpevole, per commettere il fatto, si introduce o si trattiene in un edificio o in un altro luogo destinato ad abitazione; 2) se il colpevole usa violenza sulle cose o si vale di un qualsiasi mezzo fraudolento; 3) se il colpevole porta indosso armi o narcotici, senza farne uso; 4) se il fatto è commesso con destrezza; 5) se il fatto è commesso da tre o più persone, ovvero anche da una sola, che sia travisata o simuli la qualità di pubblico ufficiale o d'incaricato di un pubblico servizio; 6) se il fatto è commesso sul bagaglio dei viaggiatori in ogni specie di veicoli, nelle stazioni, negli scali o banchine, negli alberghi o in altri esercizi ove si somministrano cibi o bevande; 7) se il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro; 7-bis) se il fatto è commesso su componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all'erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica; 8) se il fatto è commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria; 8 bis) se il fatto è commesso all’interno di mezzi di pubblico trasporto; 8 ter) se il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell’atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro.

Il tentato furto: la pena diminuisce

A tali previsioni si aggiunge quella di cui all’art. 56 c.p., che disciplina il tentativo e viene in rilievo ogniqualvolta il delitto non sia interamente consumato, ma soltanto tentato. Secondo tale disposizione infatti, chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica; in tal caso la pena stabilita per il delitto è diminuita da un terzo a due terzi.

Il PM chiede 8 mesi ma il Giudice infligge 3 anni

Trattandosi di furto aggravato, ma comunque solo tentato e non portato a consumazione, il colpevole avrebbe verosimilmente dovuto esser punito con una pena più o meno non superiore ai 15 mesi, tenuto anche conto della riduzione da un terzo ai due terzi prevista per il tentativo.

Egli avrebbe anche potuto beneficiare dell’ulteriore sconto di un terzo, nel caso in cui avesse seguito i consigli del suo legale e avesse scelto di procedere con rito abbreviato.

Ma ciò non avveniva e, sebbene la pubblica accusa avesse richiesto l’applicazione della pena della reclusione per mesi otto, il giudice decideva di sorprendere tutti e di infliggere la pena della reclusione per anni tre e mesi due di reclusione.

Un eccesso di zelo molto discutibile e comunque errato

Tale inspiegabile condotta era forse frutto delle precedenti esperienze del Giudice monocratico di Roma, che prima di essere assegnata a tali funzioni era stata Gip presso il Tribunale di Milano e in quell’occasione era stata aspramente criticata per aver rimesso in libertà due cittadini tunisini accusati di terrorismo.

Forse proprio per tale ragione, ossia per superare l’ “accusa” di troppo garantismo, si decideva in questo caso di applicare una condanna esemplare al cittadino algerino di turno, così da dimostrare ogni buona intenzione nella repressione del crimine.

Se non fosse che, probabilmente, tutte le motivazioni che portavano a tale condanna, erano da considerarsi errate. Non perché vi fossero degli errori giuridici nella costruzione della sentenza, ma semplicemente perché la pena non veniva decisa con le corrette motivazioni.

Se la pena deve essere rieducativa deve essere proporzionata

La nostra Costituzione ci insegna all’art. 27 che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato.

Si tratta di uno degli obiettivi più belli e nobili della Carta costituzionale, poiché in tal modo si stabilisce che coloro alle quali una condanna deve essere inflitta non appartengono, o comunque non devono appartenere, alla categoria degli esclusi. Essere puniti significa subire una pena che sia funzionale al reinserimento sociale del condannato.

Certezza della pena anche nella misura

Affinchè ciò sia possibile, è indispensabile che la persona colpevole percepisca la funzione della pena, che deve essere commisurata al fatto commesso e deve tener conto anche della personalità, dell’estrazione sociale, del livello di istruzione scolastica e delle precedenti esperienze del condannato; come un abito cucito su misura.

Applicare una pena sproporzionata rispetto al reato significa applicare una pena che sarà percepita e sentita come ingiusta e, di conseguenza, non farà altro che peggiorare il senso di giustizia presente nel condannato, che finirà inevitabilmente con il sentirsi non capito e trattato ingiustamente da un sistema che lo ha posto ai margini e che non gli lascia altro spazio se non nell’illegalità.

Come ci hanno insegnato uomini più illustri di noi nel passato, l’uomo va trattato sempre come fine e mai come mezzo

Tags: Sentenze, Termini

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