Quadraro, sfigura la moglie con l’acido: bengalese condannato

Quadraro sfregiata con lacidoCon sentenza pronunciata nel maggio del 2014, il Giudice dell’udienza preliminare Antonella Capri disponeva la condanna alla reclusione per anni dieci e mesi dieci a carico di Abdul Subhan, cittadino di origini bengalesi, residente nel quartiere Quadraro, accusato di aver picchiato e lanciato dell’acido contro il viso della moglie nel dicembre 2013.

Violenza sulle donne con pretese “culturali”

Vi sono aree della terra in cui i rapporti tra uomo e donna si intendono diversamente da come oggi noi li intendiamo.

Ogni popolo ha attraversato, prima o dopo, fasi diverse di sviluppo di una coscienza civile, necessariamente influenzate dalla religione, dalla politica e ovviamente dal livello di istruzione media della popolazione. È da ciò che dipendono le usanze, le tradizioni, finanche le superstizioni. Ed è da ciò che dipendono anche certe convinzioni, che purtroppo troppo spesso prescindono da fattori etnici e attengono invece all’eterna lotta uomo donna che storicamente vede il primo vincitore sulla seconda.

Ma non si tratta soltanto di dinamiche che concernono la diversa posizione sociale, il differente ruolo che ciascuno ha nella società civile, la diversa funzione che ognuno svolge all’interno del nucleo famigliare, le quali, sebbene non legittimate da alcuna legge naturale, comunque non pregiudicano il bene più prezioso di tutti: la vita stessa.

Quando la superiorità diventa violenza

Ciò che invece risulta non tollerabile è la superiorità che si palesa in violenza, in atteggiamenti destinati ad esprimere una situazione di possesso che alcuni ordinamenti giuridici addirittura riconoscono, ma che non è ammessa nel nostro sistema, su questo decisamente migliore di altri.

Si pensa di poter disporre del corpo, della mente, addirittura dell’anima della propria moglie, in virtù di un legame che viene assimilato a quello che si esercita sulle cose mobili. Tutto ciò conduce inevitabilmente alla commissione di fatti atroci, che ancora una volta hanno come unico scopo quello di proteggere quel senso di potere che si deve in ogni momento ribadire.

Il lancio dell’acido: una atrocità che dilaga anche da noi

Una di tali atrocità, di cui ci hanno abituato a sentire i telegiornali e la carta stampata, è rappresentata dall’umiliante sfregio di cagionare delle lesioni permanenti al volto della propria compagna, mediante l’utilizzo dell’acido, che corrode e brucia in maniera irreversibile la pelle, lasciando cicatrici non più cancellabili e deturpando per sempre il viso della donna.

Il fenomeno migratorio ha fatto sì che anche nel nostro paese aumentassero episodi di siffatta natura, dei quali parecchi Tribunali sono stati costretti ad occuparsi.

Il caso del Quadraro: l’uomo non era nuovo a simili violenze

Uno di tali sconcertanti fatti si verificava nel dicembre 2013 in un appartamento romano, presso il quartiere periferico del Quadraro, all’interno del quale un cameriere di origini bengalesi consumava la propria vendetta privata nei confronti della moglie e della figlia di quattordici anni, colpevoli di averlo indisposto con le loro richieste asfissianti ed inutili, tra cui quella di spostare un tavolino dalla camera occupata dalla nipote dell’uomo; richiesta che urtava la sua sensibilità e lo faceva andare su tutte le furie.

Già in passato l’uomo si era reso responsabile di violenze sulla moglie, consistite in maltrattamenti fisici consumati anche nel corso del periodo di gravidanza. Un matrimonio quello dei due sin da subito fondato sulla dinamica del marito padrone e della moglie costretta a subire ogni tipo di violenza fisica e psichica. Neppure la nascita della figlia aveva in qualche modo calmato le ire del padre, il quale, anzi, finiva con il rendersi responsabile anche delle lesioni personali causate in danno di quest’ultima.

In seguito alla lite scaturita, come detto, dalla richiesta di posizionare diversamente un tavolino, l’uomo iniziava a picchiare violentemente la moglie; lite che culminava nel lancio dell’acido sul viso di questa. Nell’immediatezza del fatto, sentite le atroci urla della madre in preda alla sofferenza per la corrosione che la sostanza le stava causando, interveniva la figlia, la quale a sua volta veniva in contatto con gli abiti della mamma intrisi di acido, riportando anche lei delle lesioni.

Il Pronto Soccorso allerta le forze dell’ordine

Le due si recavano immediatamente in ospedale, dove i medici prendevano atto della gravità della situazione e intervenivano con urgenza allo scopo di evitare che la madre perdesse un occhio, rischio in quel momento estremamente concreto. La donna riportava infatti ustioni sul 30% del suo corpo.

In questi casi, il personale esercente la professione sanitaria ha l’obbligo di referto, ossia ha l’obbligo di certificare la diagnosi effettuata e contattare le forze dell’ordine. Detto dovere sussiste ogniqualvolta si rechino presso le strutture ospedaliere persone che mostrino lesioni compatibili con la commissione di un qualche reato.

Intervenivano così le forze di polizia che, dopo aver parlato con la donna e con la figlia, non tardavano a ricostruire l’accaduto e ad elevare accuse ben precise nei confronti del cameriere bengalese.

I maltrattamenti in famiglia e le lesioni

Uno dei reati contestati ad Abdul Subhan era quello di maltrattamenti in famiglia, un reato proprio che può essere commesso soltanto da chi riveste una certa posizione nell’ambito del nucleo familiare.

E infatti, l’art. 572 c.p. prevede che, fuori dei casi di cui all’art. 571 c.p. che disciplina l’abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, chiunque maltratta una persona di famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni.

La norma dispone altresì che se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni, mentre se ne deriva una lesione gravissima si applica la pena della reclusione da sette a quindici anni; infine, se ne deriva la morte, la pena andrà da dodici a ventiquattro anni di reclusione.

I tipi di lesione nel nostro ordinamento

A tal proposito è però necessaria una distinzione. Le lesioni personali si distinguono infatti in quattro diverse fattispecie di reato: le lesioni lievi, lievissime, gravi e gravissime.

L’art. 582 c.p. disciplina sia le lesioni lievissime che quelle lievi: le prime sono individuate in quelle lesioni che cagionano nella vittima una malattia che impedisce di attendere alle ordinarie mansioni quotidiane per un periodo compreso tra i 21 e i 40 giorni, mentre le seconde sussistono nel caso in cui la malattia impedisce di attendere alle ordinarie occupazioni quotidiane per un periodo inferiore ai venti giorni.

Diversamente, l’art. 583 c.p. prende in considerazione le lesioni gravi e quelle gravissime, qualificando le prime come quelle in cui la malattia impedisce di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni e le seconde come quelle lesioni da cui derivi una malattia con probabilità o certezza inguaribile, la perdita di un senso, di un arto, di un organo, della capacità di procreare o una permanente e grave incapacità della parola ovvero la deformazione o uno sfregio permanente al viso. In tali ipotesi, la pena applicata per il reato di lesioni sarà quella della reclusione da sei a dodici anni.

Condannato a 10 anni e al risarcimento

L’uomo bengalese accusato sceglieva di essere giudicato con rito abbreviato, che in caso di condanna prevede che sia applicata la riduzione di pena di un terzo. Il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, Antonella Capri, ne riconosceva la colpevolezza e condannava l’imputato alla pena di anni dieci e mesi dieci di reclusione, disponendo anche il risarcimento in favore della costituita parte civile, ossia la moglie, fissando la provvisionale immediatamente esecutiva in 100 mila euro.

Una barbarie da combattere con la nostra cultura

Le lesioni permanenti con cui la donna vittima dei superiori fatti dovrà convivere per la vita costituiscono soltanto l’ennesima barbarie frutto di una mancata educazione alla parità degli individui, di qualunque sesso essi siano.

In Europa molto si è fatto a livello di riconoscimento dei diritti umani fondamentali, sanciti e cristallizzati nei testi di varie Convenzioni e perfino introdotti come vincolanti nel Trattato di Lisbona, grazie alla Carta dei Diritti Europei.

Eppure essere abitanti del mondo significa mescolarsi quotidianamente con persone appartenenti a terre lontane e a culture molto diverse; tale miscela rappresenta senz’altro un potenziale arricchimento, che deve però essere bilaterale. Talvolta abbiamo da imparare, talvolta abbiamo da insegnare

Tags: Sentenze, Quadraro

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