Rapine a Re di Roma: se l’illegalità è figlia della disperazione
Il 3 settembre 2013 un uomo di 56 anni, incensurato, veniva arrestato per aver compiuto in meno di un’ora due rapine: la prima nella zona di Porta Furba, la seconda nella Piazza di Re di Roma.
L’arresto era eseguito dai Carabinieri del Nucleo Radiomobile, che riuscivano a fermarlo e bloccarlo mentre si accingeva a salire in metropolitana presso la fermata della linea A Subaugusta. Una volta tratto in arresto, l’uomo non tardava a confessare anche altre rapine eseguite nel periodo precedente.
Delinquenti e furbi: una distinzione immorale
Nell’immaginario collettivo chi viene ritenuto colpevole di reati anche gravi va bollato come delinquente, come feccia della società che merita la giusta pena senza occasioni di redenzione, specie se si tratta di qualcuno che si è reso responsabile di reati c.d. di allarme sociale come rapine o furti in strada o in luoghi pubblici. Del resto, chi invece da dietro una scrivania ruba milioni di euro è di solito percepito come una persona distinta, che semplicemente è stato più furbo degli altri e, anzi, è meritevole di stima per essere stato una persona più in gamba di quegli stupidi che la mattina si alzano e vanno a lavorare per otto, dieci, dodici ore con guadagni ben lontani dalla possibilità di arricchimento.
Ma non è tutto così semplice. A volte si cade nell’illegalità non perché si abbia una personalità incline al crimine o sovversiva rispetto alle regole, ma semplicemente per disperazione, non sapendo come affrontare quei problemi economici che ogni giorno si presentano fino a non potersi più occupare neppure di fare la spesa per i propri figli.
È evidente che anche in questi casi la commissione di reati non è mai la soluzione, ma nel buco depressivo in cui si scivola non sempre è semplice pensare con lucidità.
Se delinquere appare come l'estrema ratio alla disperazione
Probabilmente non ci è riuscito neppure l’uomo che in quel 3 settembre 2013 veniva arrestato per aver rapinato due banche. Vittima della crisi mondiale che ci ha colpito da vicino, e che con noi è stata un po’ più dura che con gli altri, aveva da poco perso il lavoro. E cosa fa una persona di 56 anni, non ancora in età pensionabile, ma decisamente troppo vecchio per qualsiasi azienda, per qualsiasi lavoro, in particolar modo se si è in un periodo in cui i lavoratori non servono e anzi i datori di lavoro cercano di liberarsene in modi più o meno legittimi? Cosa fa un padre che ha dei figli a cui non riesce a badare a causa della sua inadeguatezza e della sua incapacità di guadagnare?
A queste domande l’uomo romano ha risposto con il crimine, con le rapine presso istituti di credito, con la commissione di reati per i quali si rischia la reclusione sino a dieci anni; tutto per ottenere una manciata di spicci.
Anni di carcere per pochi euro
Quel 3 settembre l’uomo si procurava una pistola giocattolo, a cui toglieva il tappo rosso che ha la funzione di segnalare che si tratta solo di un gioco e, brandendola come fosse stata vera, si recava dapprima presso la filiale della Banca Popolare di Novara di Via Santamaria del Buonconsiglio, in zona Porta Furba. Ma non c’erano soldi disponibili in contanti, come avviene ormai in moltissime banche, in cui gli impiegati hanno a disposizione soltanto una piccola somma cash per le operazioni di sportello. E allora l’uomo si recava in Piazza Re di Roma, presso la banca Carim e, con le stesse modalità, riusciva a farsi consegnare 2.000 euro da una cassiera.
Anni di carcere rischiati per la bellezza di 2.000 euro.
Rapinare banche e scappare in Metro: l'ingenuità di chi non delinque per professione
Le rapine in banca non rappresentano più un grosso business per i delinquenti professionali. Questi ultimi sanno benissimo che i contanti a disposizione sono spesso pochissimi e che i sistemi di sicurezza sono elevatissimi: a partire da un intenso circuito di telecamere interne sino a collegamenti diretti con le forze dell’ordine, che non ci mettono molto ad intervenire nel caso in cui uno degli impiegati dia il segnale, semplicemente schiacciando un bottone.
Tutto questo i criminali veri lo sanno bene ed è per questo che spesso si tengono alla larga dagli istituti di credito, o comunque studiano attentamente la situazione in modo da non colpire quando vi sono solo pochi contanti o addirittura zero. Per la legge è comunque rapina, anche se non c’è profitto per cause di cui il colpevole non era a conoscenza.
Anche in questo caso, i Carabinieri non hanno tardato ad intervenire. Sollecitati dalle banche rapinate, grazie al coordinamento della centrale operativa e alle descrizioni degli impiegati bancari, riuscivano subito ad individuare l’autore di tali rapine, bloccandolo mentre si allontanava tentando di prendere la metropolitana.
Un rapinatore che se ne va in metro con il suo bottino.
L'individuazione del'autore, il fermo e la confessione
Dopo aver bloccato il rapinatore con tanto di somma oggetto del reato al seguito, i Carabinieri lo mettevano in stato di fermo in attesa delle determinazioni del pubblico ministero in ordine alla richiesta di convalida del fermo ed eventualmente alla richiesta di applicazione di una misura cautelare.
Provvedevano poi ad eseguire una perquisizione nella sua casa, all’esito della quale si procedeva al sequestro di un’ulteriore arma soft-air, oltre a quella che l’uomo aveva con sé subito dopo la rapina, nonché due telefoni cellulari.
Una volta in Caserma il cinquantaseienne confessava inoltre di esser ricorso altre due volte al metodo della rapina in banca per procurarsi denaro: la prima volta presso un istituto di credito di Tor Pignattara, mentre la seconda era avvenuta in una banca sita in Centocelle. Quella di Re di Roma rappresentava l’ultima delle quattro banche rapinate; rapine conclusesi tutte con scarsissimi risultati in termini economici.
L’uomo veniva accusato di rapina aggravata continuata e rischia diversi anni di condanna. Va ricordato che secondo il dettato dell’art. 628 c.p., disciplinante il reato di rapina, questa in caso di sussistenza di una circostanza aggravante, qual è quella dell’uso delle armi (anche se giocattolo, vista l’assenza del tappo rosso e la non riconoscibilità come tale da parte della vittima), è punita con la pena della reclusione da quattro anni e sei mesi a venti anni, nonché con la multa da 1.032 euro a 3.098 euro.
Un caso che sicuramente merita qualche attenuante
Di sicuro in sede di giudizio e di quantificazione della pena si terrà conto dello stato di incensuratezza dell’uomo, della circostanza che egli non aveva mai avuto problemi con la giustizia sino a quel momento, dello stato di disperazione e di confusione causato dall’aver perso il lavoro e dal non poter provvedere ai bisogni primari dei propri figli. Tenuto conto di tutto ciò, come impone l’art. 133 c.p. che in sede di quantificazione della pena impone di aver riguardo oltre che al fatto anche alla persona, con ogni probabilità il tribunale potrà scegliere di applicare il minimo della pena, ridotta di un terzo per l’eventuale concessione delle attenuanti generiche.
Magari scegliendo il giudizio abbreviato l’imputato potrebbe anche giovarsi dell’ulteriore sconto di un terzo della pena e così diminuire il più possibile il tempo della reclusione. Ma resterà comunque una macchia nella vita di un uomo spinto soltanto dalla disperazione.
Dura lexsedlex.
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