Colleferro e la Giunta “azzurra”, il Consiglio di Stato contro il Tar

Colleferro e la Giunta maschileIl 23 giugno 2014 il Consiglio di Stato si pronunciava sull’impugnazione proposta avverso la sentenza del Tar del Lazio, depositata il 13 settembre 2013, riformando completamente quanto sostenuto dai giudici amministrativi del primo grado di giudizio in materia di quote rosa, e sottolineando al contrario la piena legittimità della formazione della Giunta comunale di Colleferro, formata da soli uomini.

Una Giunta solo maschile a Colleferro: critiche, polemiche e ricorsi

La bagarre giudiziaria traeva origine dalle elezioni tenutesi a Colleferro nel 2011 per l’elezione del Sindaco e della nuova amministrazione comunale, a seguito delle quali veniva costituita dal neoleletto Sindaco, Mario Cacciotti, al suo secondo mandato, una giunta formata da soli uomini, in barba a qualunque idea, anche solo vaga, di parità tra i sessi e di pari opportunità di accesso alle cariche elettive.

Certo, è da escludere che una donna debba essere preferita ad un uomo più capace e competente soltanto in quanto appartenente al genere femminile, ma va verificato se effettivamente vi siano qualifiche maggiori o, più semplicemente, sia solo una questione di maschilismo, ancora molto radicato in certi ambienti, specie in quelli dove si assapora un po’ di potere, in cui spesso si continuano a ritenere le donne meno adeguate per certi ruoli rispetto agli uomini.

Tale scelta non poteva che attrarre molte critiche e dare spunto ad una serie di polemiche, non soltanto confinate al gossip, ma portate direttamente in Tribunale innanzi ai giudici amministrativi del Lazio, ove la costituzione della Giunta comunale veniva impugnata.

Nel gennaio 2013, in seguito alla nomina da parte del Sindaco dell’Ing. Trani quale assessore con deleghe all’ambiente e al bilancio, nomina che rendeva di fatto la giunta Cacciotti monogenere, alcuni cittadini e cittadine, unitamente all’Associazione “Rete per la parità” avente come scopo statutario proprio la promozione delle pari opportunità, proponevano ricorso al Tar al fine di ottenere l’annullamento del decreto sindacale del 6 dicembre 2012 di nomina dell’Ing. Trani e far valere l’illegittimità di una giunta formata da soli appartenenti al sesso maschile e dello statuto comunale di Colleferro nella parte in cui non prevedeva la tutela delle pari opportunità.

Il Tar riconosce il diritto alle pari opportunità

Con i tre motivi contenuti nel ricorso, i cittadini e l’Associazione evidenziavano la violazione di norme internazionali e comunitarie, nonché di norme costituzionali ed attuative. In particolare, si assumevano violate le norme relative alle pari opportunità che, come osservato anche dal Tar, implicano, secondo l’interpretazione derivante dalla legge 215/2012, relativa proprio alle rappresentanze di genere, il divieto di composizione monogenere di una giunta comunale.

Tale posizione dei ricorrenti veniva interamente condivisa dal Tribunale, il quale all’uopo richiamava da un lato, il Preambolo della Carta dell’Onu, dall’altra, le importanti Convenzioni internazionali in materia.

Le Nazioni Unite e uguaglianza dei generi, un principio fondamentale

Nella prima fonte viene infatti riconosciuta come uno degli obiettivi principali dell’Organizzazione delle Nazioni Unite la fede nei diritti umani, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’uguaglianza dei diritti di uomini e donne. Principi ribaditi anche dalla Convenzione sui diritti politici delle donne, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 1952, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 326/1967, e dalla Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne, adottata dall’Assemblea Generale il 18 dicembre 1979 ed entrata in vigore a livello internazionale nel 1981.

A ciò inoltre vanno aggiunte le fonti comunitarie e quelle interne, non ultime quelle costituzionali.

Le norme comunitarie e nazionali contro ogni discriminazione

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, all’art. 21 ha consacrato sia il divieto di ogni discriminazione fondata sul sesso che la parità tra uomini e donne, sancita dall’art. 23, quali diritti fondamentali di tutti gli individui, da assicurare in ogni ambito, anche mediante l’adozione di misure a sostegno del genere sottorappresentato.

Al contempo, anche il Trattato di Amsterdam all’art. 19 TCE ha stabilito che le istituzioni comunitarie debbano adottare provvedimenti volti a combattere le discriminazioni fondate sul sesso, prevedendo misure di incentivazione destinate ad appoggiare gli Stati membri per la realizzazione degli obiettivi di lotta alla discriminazione.

Infine, a tale elencazione di fonti riportate dal Tar nella sentenza, si aggiungono quelle interne, prima tra tutte la nostra Costituzione, che all’art. 51 prevede che tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge; a tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra uomini e donne.

Principi che valgono anche per gli Enti Locali

Al principio di pari opportunità costituzionalmente previsto, ad avviso dei giudici va riconosciuta immediata efficacia applicativa, anche quale parametro di legittimità degli Statuti degli Enti Locali che devono essere ad esso aderenti e con questo compatibili. Detto vincolo si trova ancor meglio definito e specificato nella legge 2015/2012, che si limita a chiarire la portata del già vigente precetto costituzionale in materia di rappresentanza dei sessi.

Per le ragioni suesposte il Tar accoglieva il ricorso e con sentenza del 13 settembre 2013 annullava gli atti impugnati e ordinava che la pronuncia fosse eseguita dall’autorità amministrativa.

Il Consiglio di Stato ribalta la sentenza del Tar

Il Comune impugnava la superiore sentenza dinanzi al Consiglio di Stato, il quale, contravvenendo totalmente a quelle che erano state le decisioni assunte in primo grado, aderiva viceversa alle ragioni del Sindaco.

Sostanzialmente, le motivazioni poste alla base della decisione del Consiglio, adottata con sentenza del 23 giugno 2014, sono semplici: pur essendo pienamente giustificati i puntuali richiami effettuati nella sentenza di primo grado alla normativa nazionale e a quella sovranazionale, non esiste alcun obbligo esplicito per gli Enti Locali di adeguare il proprio Statuto al principio della parità di genere e, di conseguenza, appare del tutto legittimo anche uno statuto comunale che non prevede prescrizioni in tal senso.

Venivano così eliminati gli effetti della prima sentenza e ripristinata la legittimità della Giunta Cacciotti.

Una sentenza che non tiene conto dell’evoluzione delle nostre normative

Fortunatamente, l’improbabile risultato cui si è giunti all’esito del superiore iter processuale è stato superato direttamente da interventi normativi che non consentono il verificarsi di ulteriori situazioni simili.

Secondo quanto stabilito nella legge c.d. Delrio, n. 56 del 2014, nelle Giunte dei Comuni con popolazione superiore ai tremila abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40% con arrotondamento aritmetico. Si è quindi esplicitato il principio di proporzionalità e di effettività sulla parità di genere, eliminandosi ulteriori questione interpretative sull’argomento.

Tali nuovi interventi si vanno ad aggiungere alla già citata legge 215/2012, che aveva già introdotto la c.d. quota di lista, per cui nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi, e la c.d. doppia preferenza, prevedendo che questa debba essere espressa in favore di candidati appartenenti a generi diversi. Dette previsioni sono state forse ignorate nella sentenza del Consiglio di Stato di cui si è detto.

Tags: Sentenze, Colleferro

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