Assassinio in famiglia a Colleferro

Colleferro uccide a martellate la moglieIl 17 marzo 2014 un uomo residente a Colleferro, un Sottufficiale dell’Aeronautica Militare di cinquantatré anni, si costituiva presso il Commissariato di Colleferro riportando di avere ucciso poche ore prima sua moglie. L’uomo appariva in evidente stato di shock e, solo dopo aver ricostruito insieme a lui l’intero accadimento, gli agenti di polizia di Colleferro avevano la possibilità di riscontrare la veridicità del racconto e di effettuare l’amara scoperta del corpo della donna.

Famminicidio, un reato troppo spesso “familiare”

Secondo l’ultima statistica relativa all’intero anno 2014, le donne uccise in Italia sono state 152, ossia il 32% del numero totale di vittime. Di queste, 117 sono state uccise in ambito famigliare e nel 94% dei casi è coinvolto, anzi è il vero protagonista l’uomo.

Si tratta di statistiche che, sebbene vengano sbandierate oramai con costanza da tutti i mezzi di informazione, sbalordiscono sempre ogniqualvolta ci si ferma a riflettere andando oltre la freddezza e l’anonimato dei numeri.

La donna ancora troppo vittima: dalla violenza psicologica a quella fisica

Ancora oggi, nonostante la tanto acclamata parità dei sessi, i nuclei famigliari continuano a porre la donna in una posizione di debolezza e di subordinazione rispetto all’uomo, quantomeno sotto il profilo fisico; anche se in molti casi alla violenza fisica si unisce per anni quella psicologica, che si consuma in maniera subdola, senza lasciare lividi o ematomi apparenti, ma che può esser ancor più dannosa della prima.

Alle volte le nuove gerarchie e dinamiche che si vengono a creare nelle nuove famiglie colgono l’uomo impreparato, incapace di gestire una nuova indipendenza femminile, una moglie che non ha problemi a decidere per sé e per la propria vita, sino alla richiesta della separazione e poi del divorzio. Le reazioni a questo punto sono le più svariate e, in alcuni casi, del tutto incontrollate.

Quello di Colleferro è l’ennesimo femminicidio consumatosi tra le mura domestiche, nell’ambito di una separazione difficile e litigiosa.

U matrimonio finito e una separazione conflittuale

Un matrimonio di lunga durata tra un uomo di 53 anni e una donna di 47 che molto tempo prima avevano fatto delle promesse, come la maggior parte di noi, avevano deciso di istaurare la propria vita coniugale a Segni e avevano messo al mondo due figli gemelli, i quali al momento dell’episodio che li rendeva orfani avevano soltanto nove anni.

Dopo la separazione l’uomo, Eraldo Marchetti, aveva lasciato la casa coniugale in Via Vittorio Emanuele a Segni, ove era rimasta la moglie, Maria Manciocco, insieme ai figli, e si era trasferito a Colleferro. Già da diverso tempo prima le discussioni si erano fatte frequenti e sempre più animate, come testimoniato da amici e parenti della coppia, fino all’avvio delle pratiche per ottenere la separazione, incominciate otto mesi prima del delitto.

Non si trattava né della prima coppia né dell’ultima che avrebbe visto finire il proprio matrimonio di fronte a un giudice e avrebbe dovuto parlare e confrontarsi su temi come l’assegnazione della casa coniugale, l’assegno di mantenimento, l’educazione dei figli. Ma in questo caso si è andati oltre. Qualcosa è scattato nella mente di Eraldo Marchetti, facendo terminare la vicenda in un drammatico epilogo.

La lite finale e un attimo di follia per distruggere una famiglia

Il 17 marzo 2014, alle ore 9.00 circa, l’uomo si recava presso l’abitazione di Segni per recuperare degli effetti personali di cui aveva bisogno e in quell’occasione nasceva con la moglie una lite più astiosa e accesa del solito. I bambini erano in casa e all’improvviso assistevano alla momentanea follia del papà, che al culmine del suo stato d’ira afferrava un martello e colpiva quattro volte la mamma alla testa, fino a farla cadere rovinosamente in terra di fronte agli occhi terrorizzati dei due gemellini.

In un attimo una famiglia veniva distrutta.

La donna rimaneva agonizzante sul pavimento, in una pozza di sangue, sino a quando uno dei gemelli chiamava la zia, riferendole che la mamma era caduta e non si muoveva. Ella moriva durante il trasporto in ospedale, dopo aver resistito per lungo tempo. Quello stesso giorno Eraldo Marchetti, in stato di shock, si recava presso il Commissariato di Colleferro con ancora indosso i vestiti macchiati con il sangue della moglie e si costituiva, raccontando quanto aveva appena compiuto.

Una confessione da verificare  

Le forze di polizia, dopo aver ricevuto le dichiarazioni autoaccusatorie del Sottufficiale dell’Aeronautica, effettuavano degli accertamenti al fine di ricostruire la dinamica dei fatti e verificare la veridicità di quanto riportato.

Va infatti rammentato che, anche laddove si sia in presenza di una confessione, che sembrerebbe chiudere definitivamente il caso e segnare senza ombra di dubbio l’esito del successivo processo penale, così non è. Essa deve essere verificata. La giurisprudenza è concorde nel ritenere che la confessione può essere posta a base del giudizio di colpevolezza anche quando costituisce l’unico elemento di accusa, purchè il giudice ne abbia favorevolmente apprezzato la veridicità, la genuinità e l’attendibilità, fornendo le motivazioni per le quali debba respingersi ogni sospetto di un intendimento autocalunniatorio o di costrizione dell’interessato (Cass. Pen., sez. IV, sent. 5 marzo 2008, n. 20591).

L’accusa di omicidio volontario

Inevitabilmente, dopo le superiori fasi, l’uomo veniva immediatamente accusato di omicidio, per il quale sarà processato e con ogni probabilità condannato.

È un reato previsto e disciplinato dall’art. 575 c.p., il quale statuisce la pena della reclusione non inferiore ad anni ventuno per chiunque cagioni la morte di una persona. Trattandosi di un delitto a forma libera, esso può essere compiuto secondo le più svariate modalità, che non rilevano ai fini della configurazione del reato, purchè vi sia ovviamente un nesso eziologico tra la condotta dell’autore e l’evento morte.

L’omicidio volontario è punito con l’ergastolo ogniqualvolta sussista una delle circostanze aggravanti di cui all’art. 576 c.p., tra cui rientra l’aver agito con premeditazione, nonché l’aver commesso il fatto nei confronti della persona offesa ex art. 612 bis c.p., ossia il reato c.d. di stalking.

Nel caso di specie, qualora non vi fosse stata una confessione confermata più volte, l’uomo al fine di sottrarsi ad una condanna all’ergastolo avrebbe potuto sostenere la tesi dell’omicidio preterintenzionale, che si consuma quando l’autore dei fatti, con l’intenzione di provocare delle lesioni, finisce col causare la morte dell’altra persona. È il tipico caso che può venire in rilievo quando vi sia una colluttazione dalla quale scaturisce la morte di uno dei partecipanti alla stessa. In questo caso l’art. 584 c.p. impone una pena più bassa che va dai dieci ai diciotto anni di reclusione.

La partita processuale si giocherà tutta sul riconoscimento o meno della circostanza della premeditazione dell’omicidio, la quale, come detto, se venisse riconosciuta comporterebbe per il Sottufficiale la condanna all’ergastolo.

Al di là della Legge rimane solo la tragedia di troppe esistenze distrutte

Al di là delle valutazione tecniche di natura giuridica, in casi come questi non può certo trascurarsi il lato umano dell’intera vicenda. La vita di una donna è stata drammaticamente interrotta, così pure quella di suo marito, che pur non essendo né comprensibile né giustificabile, è comunque un uomo che non ha saputo dominarsi e che, a causa di ciò, ha rovinato per sempre la sua esistenza.

Forse escludendo le circostanze aggravanti, scegliendo il rito abbreviato che importa la riduzione di pena di un terzo, egli potrà anche scontare un periodo “ridotto” di detenzione, ma è certo che non potrà più tornare ad una vita accettabile.

A tutto questo si aggiunge il dramma di due bambini che hanno visto la propria madre morire dinanzi ai loro occhi per mano di un padre in stato di ira, che hanno perso la propria famiglia e la propria infanzia in un attimo e che non potranno mai più rimuovere dalle loro menti quella scena.

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