I controlli che il cliente dovrebbe fare sul proprio avvocato (e spesso non fa)
Spesso si parla – e anche con toni accesi – dell’assistenza legale e delle presunte mancanze dell’avvocato. Tuttavia, c’è un aspetto raramente affrontato: i controlli che il cliente dovrebbe fare e non fa.
Il rapporto tra cliente e avvocato è fiduciario, certo, ma ciò non significa che debba essere cieco. Ecco alcune verifiche che ogni assistito dovrebbe compiere, per il proprio interesse.
1. Non verifica cosa si dice del legale
Oggi è possibile farsi un’idea abbastanza chiara di un professionista con una semplice ricerca online. Oltre ai motori di ricerca, Google Maps (Business) offre una scheda del professionista o dello studio con recensioni, valutazioni e fotografie: strumenti semplici che consentono di comprendere la reputazione, la professionalità percepita e la cura dell’immagine.
Molti clienti, invece, si affidano “al passaparola” senza mai controllare nulla, salvo poi lamentarsi di un’assistenza deludente. Un minimo di verifica preliminare può già evitare sorprese.
2. Non richiede un preventivo scritto
La legge e il Codice Deontologico Forense (art. 27) impongono all’avvocato di fornire un preventivo scritto e dettagliato, specificando le fasi dell’attività, i costi prevedibili e i criteri di calcolo del compenso.
L’obbligo è chiaro, ma non sempre il cliente lo pretende. Molti accettano accordi “a voce”, senza sapere esattamente quanto costerà l’attività o come verranno gestiti eventuali extra (trasferte, consulenze tecniche, contributo unificato, ecc.).
Il risultato? Spesso arrivano contestazioni e incomprensioni economiche che si sarebbero potute evitare semplicemente chiedendo quel documento, che tutela entrambe le parti.
3. Dopo il mandato, non verifica la strategia (né collabora alla sua costruzione)
Conferire un mandato non significa “scomparire” fino alla sentenza.
Il cliente ha diritto (e dovere) di chiedere spiegazioni sulla strategia adottata, sugli strumenti di composizione alternativa della lite (negoziazione, mediazione, proposta conciliativa, ecc.) e sugli sviluppi del procedimento.
Nel settore penale, ad esempio, è fondamentale comprendere l’importanza delle memorie difensive presentate subito dopo l’avviso di garanzia, così come la valutazione dei riti alternativi (giudizio abbreviato, patteggiamento, messa alla prova). Queste scelte iniziali incidono concretamente sui tempi, sui costi e perfino sull’esito del processo.
Inoltre, la fissazione della strategia difensiva richiede la collaborazione attiva del cliente, che deve fornire tempestivamente documenti, informazioni e indicazioni su eventuali testimoni di sua spettanza.
Il difensore elabora la linea, ma la sostanza dei fatti resta sempre nelle mani di chi li ha vissuti.
4. Non legge o non conserva la documentazione
Molti clienti non leggono le comunicazioni dell’avvocato, non archiviano i documenti ricevuti e si disinteressano delle scadenze.
Questo atteggiamento può avere effetti paradossali:
c’è il caso (reale) di un avvocato che, dopo anni di battaglia in appello, si è sentito chiedere dal cliente di “restituirgli la documentazione sanitaria”, la stessa che era stata consegnata in copia dal cliente stesso all’inizio della causa.
Un comportamento del genere non solo complica la gestione della pratica, ma mina la fiducia reciproca.
La trasparenza funziona se è bilaterale: il legale informa, ma il cliente deve prestare attenzione e conservare ciò che riceve.
5. Si affida senza chiarire obiettivi, limiti e priorità
Un altro errore frequente è quello di non esplicitare cosa si vuole davvero ottenere. Alcuni clienti si aspettano “di vincere” senza sapere cosa significhi concretamente in termini giuridici, economici o temporali.
Prima di iniziare, è indispensabile un confronto chiaro su obiettivi (risultato desiderato), limiti (quanto si è disposti a spendere, fino a dove si vuole arrivare) e priorità (cosa conta di più: il tempo, il risarcimento, la reputazione, ecc.).
L’avvocato può così costruire una strategia realistica, calibrata sugli interessi effettivi del cliente e non su aspettative vaghe o idealizzate. In fondo, la miglior difesa è quella condivisa.
6. Conclusione
Il rapporto tra cliente e avvocato è, e deve restare, un rapporto di fiducia. Ma la fiducia non è cieca: è informata, consapevole e partecipata.
Un cliente che controlla, chiede e collabora non è un problema — è una risorsa.